Ciao, sono Ciccio Rigoli e questa è la versione estiva di Public Poetry Speaking. Oggi è l’ultima uscita del quartetto “Tattica, strategia, abnegazione, forza”: Qui trovi quella sulla tattica, qui quella sulla strategia, qui quella sull’abnegazione. Oggi si parla di forza e poi la newsletter va in vacanza fino a Settembre. Io no, ma quello è un altro discorso.
Ce l’hanno menata per anni con la retorica del “Fail again, fail better”. Ci sono caduto anche io, ovviamente, tanto che quella frase ce l’ho scritta su un muro di casa e me la leggo tutte le mattine quando mi sveglio. Solo che a un certo punto, ecco, forse anche basta.
Addirittura gli Americani dicono “Fail fast”. Devi fallire rapidamente se vuoi raggiungere alti traguardi, devi far vedere che hai avuto coraggio e hai osato, e adesso ti puoi godere la tua vittoria. E anche se arriva un’altra sconfitta, poco importa, ti devi rialzare, devi ripartire rapidamente, non ti abbattere, non pensare che hai fatto una marea di stronzate, adesso sarai luccicante e splendente e prontə a correre quando sarai di nuovo in piedi.
Solo che nessuno parla mai di quanto faccia schifo stare a terra. La retorica del fallimento avviene sempre in maniera retrospettiva, dopo che avviene. Siamo pienə di libri su chi ce l’ha fatta dopo aver attraversato le paludi del fallimento, dopo aver sconfitto le paure. Ma chi c’era lì, mentre tutto crollava? Cosa succedeva? Cosa ce ne potevamo fare di tutta la retorica quando il mondo attorno sembrava cospirasse contro, quando l’unico pensiero era di aver fatto una grande e sesquipedale cazzata ad aver creduto in quello che tu stessə avevi costruito?
Io sono sempre stato un grande fan del fallimento, ora però mi avrebbe anche un po’ stufato. Oggi dovrei parlare di forza ma invece no, non parlo della forza di rialzarsi. Parlo di quando la forza non ce l’hai proprio, di quando la finestra comincia a diventare l’unica via d’uscita plausibile e se non lo fai è solo perché l’istinto di sopravvivenza, il pensiero di chi ci starebbe male o chissà cos’altro ti ferma.
Il fallimento serve solo a chi non fallisce
Alla cultura americana del fallimento, in Italia possiamo accostare la sempreverde perla di Gianni da Monghidoro “Uno su mille ce la fa”. Bravo Gianni, è vero, quant’è dura la salita, ma chi ha mai più sentito parlare degli altri 999? Dove sono andati a finire?
Perché è facile parlare di quanto sia stato difficile superare le asperità per poi arrivare al successo, ma cosa succedeva durante la disfatta? Quanti sono crollati e basta? Di questi non ne parla mai anima viva. Sempre a dire che bisogna credere in quello che facciamo, e mai nessuna persona che si faccia venire il dubbio che potrebbe andare malissimo e basta.
Ci hanno illuso per anni con la retorica del lavoro duro o, come dicono nelle serie tv doppiate male, del lavorare sodo (ma qualcunə ha mai pronunciato davvero la frase “Ho lavorato sodo”?), e non c’è mai una vera preparazione alla sconfitta. Ci riempiamo sempre la bocca di “resilienza” (Dio mio, che parola brutta ho dovuto scrivere), oppure raccontiamo cosa è successo dopo, ma mai il durante.
Ecco, ogni tanto dovremmo ricordarcelo: non siamo sempre resilienti, non siamo sempre una perla splendente anche nelle avversità, non siamo sempre puntati verso uno sfavillante futuro. A volte non abbiamo la forza e basta. E non serviranno tutti i “Dai, domani andrà meglio” del mondo, non serviranno le pacche sulle spalle e i “Come stai?”. Io vorrei sentire quei racconti lì, non le vittorie successive.
Vorrei sentire di quando non hai i soldi per le bollette e una sera, mentre sei a casa, ti staccano la luce e ti senti così inutile e miserabile e senza speranza che vuoi solo piangere e basta.
Vorrei sentire di quando la maggior parte delle telefonate arrivano dagli avvocati e non sai cosa rispondere, se non di avere pazienza. Per favore.
Vorrei sentire di quando pensi: “Speriamo che la transazione avvenga” mentre sei lì che passi la carta contactless al supermercato.
Senza sovrastrutture, senza dire “Vedi che poi ci sono riuscitə?”, senza una via verso il futuro. Ammettere che ogni tanto non abbiamo la forza e basta, che abbiamo fatto una cazzata e basta, che per parecchio tempo non abbiamo visto nessuna via. E ammettiamo anche che fallire fa schifo, senza stare troppo a raccontarcela.
Poi la via di solito arriva. Ma non è la forza interiore a salvarci. Il più delle volte è il tempo, che fa passare tutto. Altro che forza, aspettare è l’unica soluzione.
Informazioni di servizio
Prima delle vacanze, due anzi tre appuntamenti:
15 Luglio: Finale regionale Poetry Slam Piemonte a Torino. Ore 21:30 all’Imbarchino, sono tra i partecipanti contro ogni aspettativa;
16 Luglio: Data zero del nuovo progetto “Io sto bene Io sto male: Ciccio Rigoli legge i CCCP e i CSI”. Un reading al contrattacco con elmi e armi nuove a Lodi, alla Libreria Mittel;
18 Luglio: Ultima serata del “Maledetto lunedì” a BASE Milano. Ingresso libero, si inizia alle 21.
(Per essere uno pigro, c’è da dire che faccio un sacco di roba).
Con questa iniezione di buonumore si chiude la versione estiva di Public Poetry Speaking, e ne riparliamo a Settembre. Questa pausa ci farà bene, o almeno spero.
A Settembre si torna con i consigli di public speaking, business writing, dei nuovi corsi, insomma, si prospetta un Autunno caldo come quello dei metalmeccanici.
Nel frattempo,
Tante care cose e abbi cura di te
Ciccio
PS: ovviamente se ti va di condividere questa newsletter mi fa piacere. O anche di farmi sapere cosa ne pensi.