Ciao, sono Ciccio Rigoli e questa è Farsela addosso, l’edizione estiva della newsletter Public Poetry Speaking. 4 appuntamenti con 4 interviste a persone che, a vario titolo, salgono su un palco. In caso non l’avessi ancora letta, la scorsa settimana ho intervistato il poeta Paolo Agrati. Questa settimana invece l’ospite è Davide Verazzani.
Davide Verazzani è un attore di teatro di narrazione e ha portato in Italia il Fringe Festival. Il Fringe, come lo chiamiamo noi habitué, è un festival di teatro che porta gli spettacoli in luoghi non convenzionali. Nasce a Edimburgo (il Festival, non Davide), ci sono molte edizioni locali e da diversi anni invade, una volta l’anno, anche la città di Milano.
Non mi ricordo da quanto conosco Davide, ma so che ammiro molto la sua capacità di studiare a fondo e quindi portare sul palco delle storie spesso poco conosciute ma sempre molto interessanti.
Chi sei? Che cosa fai? Come ti definisci?
Mi chiamo Davide Verazzani, dirigo il Fringe Milano Festival e poi scrivo e porto in scena spettacoli di teatro di narrazione.
Mi definisco un operatore culturale, che vuol dire tutto e vuol dire niente, ma in qualche modo faccio andare avanti anche io il settore della cultura.
Un martire, praticamente
Sì, ammettiamolo!
Da quanto tempo ti esibisci?
Con il teatro di narrazione da circa dieci anni, anche se le prime esibizioni, è chiaro, sono state le recite di Natale a scuola e qualche saggio di fine anno nei corsi di teatro.
La prima volta in cui mi sono esibito con un testo che avevo scritto io è stato in un giorno imprecisato dell’inverno 2014 o 2013.
Una mia amica, che curava la parte culturale del CAM di Via Scaldasole a Milano, mi ha chiesto, testuali parole: “Visto che conosci tante storie, perché non vieni a raccontare qualche storiella ai miei vecchietti?”. Io non sapevo cosa raccontare, e lei mi ha suggerito di raccontare qualcosa su Milano, il Rinascimento, magari gli Sforza…
Non c’erano tanti libri o serie tv in giro ai tempi sugli Sforza, che invece hanno una storia incredibile. Ho messo insieme lo spettacolo, e pensavo ci sarebbero stati 3 o 4 vecchiettini. Invece c’erano 70 persone di tutte le età che alla fine mi hanno tributato un’ovazione. Lì ho pensato: “Ma vuoi vedere che funziona?”.
Possiamo quasi dire che sono stato un Barbero ante-litteram. Anche se Barbero è un dio, c’è poco da fare.
Pensa che la prima stesura di Game of Sforza durava 2 ore e un quarto.
Lo sai che 2 ore e un quarto si configura come sequestro di persona, vero?
Sì, infatti adesso l’ho ridotto a un’ora e venti.
Chi sta sul palco sa che il pubblico è una strana bestia, e non sai mai cosa ti può capitare. Qual è stato il pubblico più difficile che hai incontrato?
Di sicuro i ragazzi delle scuole medie! Quelli delle elementari sono tranquilli, quelli delle superiori sono già quasi adulti, mentre con quelli delle medie non c’è un terreno comune. Da una parte è difficile capire a che livello stare, se troppo in alto o troppo in basso, ma soprattutto stanno nel pieno dell’esplosione ormonale ed è difficile gestirli.
Tu hai l’ansia prima di salire sul palco?
Tutte le sere in cui ho uno spettacolo, quando sono ancora nel camerino o nel retropalco, penso sempre: “Ma chi ca**o me l’ha fatto fare?”. E penso anche che in quel momento potrei essere davanti alla televisione a vedere una partita di calcio, e sarei molto più contento!
Poi, se sento anche il mormorio del pubblico, provo una sensazione di invidia, perché vorrei essere al loro posto. Vorrei essere spensierato tra il pubblico a dire: “Vediamo ora questo tizio cos’ha da raccontare”. Però credo sia normale, anche perché non sai mai come andrà.
Poi tu fai il comico e lo sai benissimo, se hai alcuni punti in cui ti aspetti che il pubblico risponda in qualche modo, magari con una risata o un applauso, e non succede, che fai? Cosa si fa se non c’è alcuna risposta?
Ma allora, chi te lo fa fare?
C’è di buono che appena salgo sul palco quest’ansia scompare completamente. E poi penso che vivere senza ansia sia una non-vita. Sai benissimo che nell’ora e mezzo successiva potrà essere un trionfo o una catastrofe, però è bello perché l’artefice del tuo destino sei tu.
Però non sei del tutto artefice del tuo destino sul palco…
In realtà sì, perché anche se ti accorgi che le cose vanno male non devi esagerare, devi capire che potrebbe non essere colpa tua, e allora ti fermi, respiri e magari cambi direzione. Anzi, adesso ti svelo il segreto dei segreti.
Sentiamolo!
Sia che tu ti si stia esibendo di fronte a 700 persone al Castello Sforzesco, sia che tu debba parlare di fronte a un consiglio di amministrazione in azienda, bisogna ricordarsi sempre che chi ti sta di fronte non sa che cosa tu dirai, per cui tu puoi dire tutto quello che vuoi. L’importante è essere credibili e sapere qual è il messaggio che si vuole portare.
Quindi si potrebbe anche improvvisare per tutto il tempo?
Tecnicamente sì, ma bisogna sapere bene dove si vuole andare a parare e capire cosa le persone si aspettano da te. Un conto è se fai uno spettacolo, un altro se presenti una relazione, ma in entrambi i casi devi sapere perché loro sono lì, cosa si aspettano da te e perché anche tu sei lì.
Poi devi anche saper modulare il tono e capire il contesto. Un conto è parlare in un consiglio d’amministrazione, un conto davanti a ragazzini di dieci anni.
Tu riesci a cambiare in corsa, magari modificando qualcosa al volo o capendo meglio cosa vuole il pubblico una volta che sei sul palco?
Credo che sia fondamentale, perché non è solo il pubblico ad ascoltare te ma sei anche tu che ascolti il pubblico. Uno dei trucchi più biechi ma più efficaci è fare delle domande al pubblico, oppure recitare proprio in faccia a qualcuno così hai la certezza che almeno una persona ti segua. Tra l’altro se fai così gli altri si chiedono: “Ma perché lo sta dicendo solo a lui?” e allora cominciano a seguirti di conseguenza.
E cosa fai se invece il pubblico ne sa più di te oppure se ti dimentichi qualcosa?
In quel caso paga la sincerità. Inutile fare degli spiegoni a gente che ne sa più di te, quindi ammetti la tua ignoranza. Oppure se ti capita di non ricordare qualcosa, bisogna dirlo che ci si è dimenticati senza paura di fare una brutta figura. Si crea una grande unione con le persone che vengono a vederti, che magari ti aiutano perché capiscono che sei uno di loro.
Tu hai portato il Fringe Festival a Milano, e negli anni hai interagito con decine e decine di artisti. Ci dici qualche caso particolare che ti è capitato negli anni? Soprattutto qualche caso di “ansia da palcoscenico”, visto che parliamo anche di quello.
Il Fringe è un festival in cui si portano spettacoli teatrali in luoghi diversi dal solito, quindi spesso mancano le attrezzature che si trovano di solito nei teatri.
Non posso ovviamente fare nomi, ma una compagnia ci chiese prima uno sfondo nero al posto di quello bianco del locale, e l’abbiamo trovato. Poi un ventilatore, e abbiamo trovato pure quello. Poi hanno chiesto le quinte, ma quelle erano impossibili da montare. La loro ansia era dovuta al fatto che erano abituati a lavorare nei teatri, dove ci sono possibilità completamente diverse, e non riuscivano a capacitarsi di dover recitare in uno spazio “nudo”.
La seconda invece è stata al contrario un’occasione che definirei virtuosa. Un regista è venuto a vedere lo spazio qualche giorno prima di fare lo spettacolo, e ovviamente non ha trovato nulla di quello che si aspettava, anche se l’avevo avvertito che gli spazi sarebbero stati molto vuoti come scenografia e materiale. Senza dire nulla è andato via, ed è tornato il giorno dopo dicendo: “Rifaccio lo spettacolo da capo!”, e l’ha riscritto da zero adattandolo alla situazione. Credo sia un perfetto esempio di come non bisogna farsi prendere dall’ansia, ma bisogna gestirla e trovare soluzioni nuove.
Insomma, non sempre tutto va come vogliamo
In quel caso puoi o continuare a tirare testate al muro, col risultato che ti spacchi la testa, oppure trovare il modo per uscirne. E allora cambi.
Un po’ come quando prepari un powerpoint bellissimo, e poi il proiettore non c’è oppure non funziona
Mi è successo quando facevo il formatore: avevo passato notti insonni a preparare delle slide bellissime, e poi non avevano portato il proiettore perché non pensavano che servisse. Ho improvvisato, avevo poco altro da fare a quel punto.
Io sogno spesso di salire sul palco e non ricordare niente, oppure che tutto vada malissimo. Tu fai di questi sogni?
Per fortuna no, non sogno mai situazioni di panico durante gli spettacoli. Però, come succede a tutti credo, ho sempre quell’attimo di vuoto prima di salire sul palco in cui mi sembra di non ricordarmi nulla, poi salgo sul palco e accade la magia.
Se poi devo fare un reading sono tranquillissimo, perché tanto devo leggere. Però ho sempre paura che, magari se sono all’aperto, ci sia vento. Ecco, la mia paura sono i fogli che volano via. Per contrastarla uso 30 mollette, col risultato che poi però non riesco a girare i fogli!
Davide si esibirà il 16 Agosto, per l’ottavo anno consecutivo, nel cortile del Castello Sforzesco di Milano con il suo Game of Sforza. Lo stesso spettacolo con cui aveva debuttato, che funziona ancora alla grande.
Qui invece trovi il suo libro L’ultimo Beatle in cui racconta di Neil Aspinall, l’uomo che agiva dietro le quinte dei Beatles.
La prossima settimana ci sarà la terza puntata di Farsela addosso. Se questa ti è piaciuta condividila, girala a chi vuoi tu o parlane in giro. A me fa solo piacere.
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Tante care cose e abbi cura di te
Ciccio
“Nessuno ci toglierà i balli che abbiamo ballato”
Sono Ciccio Rigoli e mi occupo di comunicazione, customer care e poetry slam.
Faccio corsi molto divertenti sia dal vivo sia online, e anche consulenze singole.
Organizzo poetry slam e insieme a Paolo Agrati e Davide Passoni abbiamo un’agenzia che si chiama Slam Factory. La nostra trasmissione “Poetry Slam!” la trovi su Prime Video, anche se nella descrizione mi chiamano “Ciccio Regoli”, vai a capire perché.
Ho scritto 5 libri e un pezzo che si intitola “Come hanno fo**uto i trenta/quarantenni” che ha fatto oltre un milione di visualizzazioni a mia insaputa.
Sono soprattutto su Facebook e Instagram. E anche su LinkedIn. Puoi seguirmi, se ti va.