Inizia oggi l’edizione estiva di Public Poetry Speaking: una serie speciale di 4 puntate con 4 ospiti che, a vario titolo, parlano in pubblico. Non soltanto dei consigli su come stare sul palco, ma interviste che parlano delle sensazioni che si hanno prima di iniziare e di quale maledetto motivo ci spinge a parlare di fronte ad altre persone anche se le gambe diventano molli, lo stomaco si attorciglia e la domanda più frequente è: “Ma chi me l’ha fatto fare?”.
L’ansia di salire sul palco passa dopo tanto tempo? Ci sono dei trucchi magici per non preoccuparsi? Vedremo…
Iniziamo oggi con il mio amico e sodale Paolo Agrati. Conosco Paolo da diversi anni, ci esibiamo spesso insieme e ormai riusciamo a presentare i poetry slam quasi a occhi chiusi.
Gli invidio molto la capacità di attrarre le persone e di portare a termine i progetti. Sarà che è brianzolo, ma quando dice che bisogna fare qualcosa, la fa.
Oltre a questo, ha una voce strepitosa. Per dire, dopo un suo spettacolo una mia amica mi ha chiesto se potevo farmi mandare da Paolo un vocale da usare come sveglia al mattino.
Quindi, vediamo chi è Paolo Agrati, cosa fa e qual è il suo rapporto con il palco e il parlare in pubblico.
Allora, cominciamo: dicci chi sei e cosa fai
Mi chiamo Paolo Agrati, faccio poetry slam e spettacoli di poesia orale, canto nella Spleen Orchestra, gruppo che ripropone le atmosfere dei film di Tim Burton e in altri progetti, infine sono speaker e doppiatore. Insomma, mi occupo della voce.
Cosa hai scritto sulla carta d’identità alla voce “Professione”?
Ho scritto “Poeta”. Purtroppo non più perché adesso nel nuovo documento la professione non c’è più, ma quella vecchia l’ho conservata. A vederla col tempo sembra una cosa presuntuosa, e probabilmente lo è.
Sono andato all’anagrafe del paesino dove vivo tutt’ora, e questa anziana dipendente mi ha chiesto che lavoro facevo. Era un periodo di transizione, lavoravo come concierge negli alberghi ma a breve non l’avrei fatto più, e allora ho detto: “Metta poeta”, perché sapevo che era l’unica cosa che non sarebbe cambiata nel tempo. E questa cosa mi ha anche salvato in molti posti, ma magari ve lo racconto un’altra volta.
Quindi tu consigli di farsi scrivere “Poeta” sulla carta d’identità, o comunque di girare con un documento che lo attesti, perché può salvarti la vita?
Per me è una cosa divertente. Io avevo un amico che aveva scritto sulla carta d’identità “Viaggiatore”, e lo abbiamo preso in giro parecchie volte perché in Brianza “Viaggiatore” è l’agente di commercio. Però c’è da dire che lui con quella dicitura attirava molte ragazze.
Quand’è stata la prima volta che ti sei esibito su un palco?
I miei padri (perché ho un padre che mi ha generato e uno che mi ha cresciuto) erano amici e avevano una filodrammatica amatoriale che tra l’altro ha vinto anche dei premi. Io avevo 7 anni, serviva un bambino che morisse di leucemia e col mio aspetto pallido e le mie occhiaie ero perfetto per il ruolo. Facevo piangere tutti e mi sentivo una star. In Brianza, ovviamente.
La tua carriera è proseguita ininterrottamente dai 7 anni fino a oggi oppure c’è un momento in cui hai cominciato a esibirti da adulto?
Nel 2010 ho pubblicato il mio primo libro di poesie ed ero annoiatissimo dalla solite letture che si facevano nei circoli, quindi ho organizzato un reading/spettacolo con un musicista. Man mano ho capito sempre meglio come stare sul palco, e intanto ho iniziato con i poetry slam che ti danno la possibilità, in tre minuti, di dare il meglio di te stesso e misurare la risposta del pubblico.
Tu fai spettacoli da solo ma anche con altre persone. Qual è la differenza tra esibirsi da soli e con altri?
Io sono spaventato ad andar da solo. Avere altri, soprattutto musicisti, mi aiuta perché è molto delicato portare se stessi sul palco. Mi fa più paura leggere le mie poesie da solo davanti a 20 persone che cantare le canzoni dei film di Tim Burton con tutta la band davanti a 3.000 persone.
Tu prima di salire sul palco hai paura? Hai l’ansia?
Non sono preoccupato perché so che se succederà qualcosa sarà parte dello spettacolo che sto facendo, e la naturalità paga. Non ho paura anche perché mi preparo molto. Certo, se non sei preparato è un altro conto! Però lì c’è la professionalità, e in un modo o nell’altro la porti sempre a casa.
Mi è venuta un po’ l’ansia con il poetry slam, ma perché mi stava venendo su il demone della competizione, ed era una cosa sbagliata. Quindi per un anno ho smesso, e quando sono tornato ero molto più tranquillo. Tra l’altro l’anno in cui ho ricominciato ho vinto tutti gli slam a cui ho partecipato, tranne la finale nazionale.
Un grande insegnamento
Un gran bell’insegnamento, direi! Oggi trovo che la competizione con altre persone rischia di essere deleteria, perché magari crea uno che vince e una platea di perdenti. Trovo molto più interessante la competizione con se stessi, in cui misuri i passi avanti che hai fatto rispetto al tuo punto di partenza.
C’è una cosa che io chiamo “Invidia buona”, ed è quando vedi qualcuno che fa una cosa che avresti voluto fare tu, e proprio per questo non lo odi ma vuoi che diventi tuo amico. Ecco, questo tipo di invidia mi piace.
Qual è il pubblico peggiore che ti sia mai capitato? Quella volta in cui hai detto: “Basta, io me ne vado”?
Di solito mi assicuro prima che non ci siano problemi: che il bancone non sia troppo vicino, che non ci siano tavolate di gente disinteressata di fronte al palco, perché voglio che lo spettacolo vada bene per me ma anche per il locale in cui mi trovo.
Però una volta ero in una tenuta enorme, insieme a un musicista, ed eravamo su un palco medio/grande con il primo tavolo a 20 metri. Immagina una roba tipo Oktoberfest con gente che è lì perché vuole mangiare la pizza.
Io dicevo una roba e praticamente la dicevo ai sassi! Alla fine ho anche dovuto rincorrere l’organizzatore per farmi dare 30 euro, pensa tu che situazione.
Comunque non è quasi mai colpa del pubblico, ma quasi sempre di un’organizzazione sbagliata.
Hai dei riti prima degli spettacoli, o comunque una tua routine?
Mi preparo molto: so come vestirmi, so la scaletta, controllo che tecnicamente sia tutto pronto. Ho un alto livello di preparazione, non riesco a improvvisare e non mi piace farlo.
Ho anche lo storico di tutte le scalette, così se vado nello stesso posto faccio dei testi diversi, anche se il pubblico cambia.
Se per qualsiasi motivo non potessi fare più spettacoli, ti mancherebbe?
Io in un modo o nell’altro mi sono sempre sentito su un palco, ma nel futuro credo che vorrò farne sempre meno. Ho fatto tantissime cose, anche all’estero, e magari sul momento non te ne accorgi, ma mettendole in fila sono davvero parecchie.
Tra l’altro, il palco non era il mio obiettivo! Io volevo fare poesia, e comunicare qualcosa. Oggi è quello che mi interessa, che sia poetry slam o la Spleen Orchestra o il mio progetto su Tom Waits che porto in giro insieme a 3 musicisti.
Sogni mai di salire sul palco e non sapere niente, oppure che succeda qualche tragedia?
Ogni tanto mi capita, ma è come quando sogni la maturità. Significa che ti devi preparare bene.
Ultima domanda: qual è il miglior consiglio che puoi dare a chi non ha mai parlato in pubblico oppure a chi deve parlare in pubblico ma ne è terrorizzato? Insomma, dacci una parola di conforto!
Penso che prima bisogna capire qual è la paura che abbiamo ad andare sul palco, perché ce ne sono diverse e a ogni paura corrisponde una soluzione. Le paure sono necessarie, e sono quelle che ci fanno scappare dal leone per non finire azzannati. Bisogna chiedersi qual è la propria paura e usarla come carburante.
Se ci pensi, la benzina puoi metterla nel motore, e ti fa andare avanti, ma puoi anche versartela addosso e allora non va benissimo.
Direi che è un’ottima frase per chiudere
Sì, lo penso anche io.
Puoi trovare Paolo Agrati su Instagram. Qui invece trovi i suoi (consigliatissimi) libri.
Alla prossima settimana con la seconda puntata di “Farsela addosso”. Se ti è piaciuta condividila, girala a chi vuoi tu o parlane in giro. A me fa solo piacere.
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Tante care cose e abbi cura di te
Ciccio
“Nessuno ci toglierà i balli che abbiamo ballato”
Sono Ciccio Rigoli e mi occupo di comunicazione, customer care e poetry slam.
Faccio corsi molto divertenti sia dal vivo sia online, e anche consulenze singole.
Organizzo poetry slam e insieme a Paolo Agrati e Davide Passoni abbiamo un’agenzia che si chiama Slam Factory. La nostra trasmissione “Poetry Slam!” la trovi su Prime Video, anche se nella descrizione mi chiamano “Ciccio Regoli”, vai a capire perché.
Ho scritto 5 libri e un pezzo che si intitola “Come hanno fo**uto i trenta/quarantenni” che ha fatto oltre un milione di visualizzazioni a mia insaputa.
Sono soprattutto su Facebook e Instagram. E anche su LinkedIn. Puoi seguirmi, se ti va.