Go home to where?
Uno dei migliori TED Talk della storia, su un argomento sempre più importante
Il post di questa settimana fa parte della rubrica TED’s Anatomy. Prendiamo unTED Talk o un discorso pubblico di altro tipo, lo smontiamo, vediamo cosa possiamo imparare e perché è fatto bene o fatto male. Oggi uno fatto particolarmente bene che insegna molto.
[DISCLAIMER: il post è comprensibile anche se non hai tempo, modo o voglia di guardare il video, promesso]
“Come posso racchiudere in 10 minuti la storia dei legami tra donne di tre generazioni, di come la forza sorprendente di quei legami sia entrata nella vita di una bambina di 4 anni rannicchiata insieme alla sorellina, alla mamma e alla nonna, per 5 giorni e 5 notti in una barchetta nel Mar della Cina più di 30 anni fa, legami che sono entrati nella vita di quella bambina e che non l'hanno più lasciata. Quella bambina ora vive a San Francisco e vi parla in questo momento. E la storia non finisce qui. È un mosaico che si sta ancora componendo.
Ora vi parlerò di alcune tessere del mosaico.”
Questo inizio è un capolavoro totale. Dice quanto tempo durerà il talk, di cosa parlerà, ci mette un’immagine potentissima e una storia che vuoi assolutamente sapere come va a finire. Vuoi sapere come hanno fatto quelle 4 donne a salvarsi, perché lei ora vive a San Francisco, perché ha il diritto di parlare da un palco e quali sono le tessere di questo mosaico.
Dopo un inizio così, puoi stare certa che il pubblico ti ascolterà e non si perderà neanche un secondo del tuo intervento. Racconta una storia, ma segue il più classico degli insegnamenti da scuola di scrittura creativa: Show, don’t tell
Vediamo come è strutturato il talk “My immigration story” di Tan Le, come inizia, come finisce, quanto riesce a dire in poco tempo senza essere mai didascalica o perdersi in dettagli inutili. Ma prima, chi è Tan Le?
La speaker: Tan Le
Nata in Vietnam e trasferita a 4 anni in Australia, Tan Le è la Co-founder di Emotiv, una società specializzata in macchine per lo studio dell’attività cerebrale che vuole democratizzare lo studio del cervello. Oltre a questo è un’attivista per i diritti dei migranti.
Il suo Ted Talk viene considerato uno dei più importanti e interessanti di sempre.
Una particolarità: nel suo TED Talk scopriamo come si chiama e la sua storia soltanto al minuto 6. Non lo dice prima, non è una persona famosa e non sappiamo chi sia, ma ugualmente riesce a essere autorevole senza presentarsi. Roba da professionisti.
Un incipit da manuale
Una delle parti fondamentali di un discorso è l’inizio (ne avevamo parlato anche la scorsa settimana), e qui siamo di fronte a un attacco perfetto.
“Come posso racchiudere in 10 minuti”
So già quanto durerà il discorso. In questo modo il pubblico sa che non sarà troppo lungo, e sa già per quanto tempo dovrà ascoltare. Sembra una stupidaggine, ma è un modo efficace per far rilassare chi ci sta di fronte.
“una bambina di 4 anni rannicchiata insieme alla sorellina, alla mamma e alla nonna, per 5 giorni e 5 notti in una barchetta nel Mar della Cina più di 30 anni fa. […] Quella bambina ora vive a San Francisco e vi parla in questo momento.
Abbiamo i personaggi, abbiamo un contesto, e ci chiediamo in che modo sia arrivata dal Mar della Cina a San Francisco. Sappiamo che ce lo spiegherà dopo, e non vediamo l’ora di ascoltarlo.
“Ora vi parlerò di alcune tessere del mosaico.”
Perfetto, sappiamo anche che la struttura sarà a blocchi, e non sarà un discorso unico.
Un inizio di questo tipo è come “Chiamatemi Ismaele” in Moby Dick. In poche parole c’è già tutto, ma vogliamo sapere ancora di più.
Visto quanto è importante non trascurare mai l’inizio di un discorso o di uno spettacolo?
Le immagini
Il discorso è pieno di immagini. Dalla barchetta con 4 donne a bordo dell’inizio, alla storia del nonno, l’arrivo in Australia, la piccola casa in cui abitavano e l’inizio in contesti diversi dal solito. Sono tutte immagini, anzi, lei invita esplicitamente il pubblico a immaginare: “Immaginate la prima [tessera]: un uomo che vede distrutto il lavoro di una vita.”. E poi le calze coi buchi per simboleggiare la povertà, la mamma che ha già a disposizione una boccetta di veleno in caso venissero rapite dai pirati durante il viaggio, il non sapere usare le posate quando si tratta di andare ai ricevimenti una volta diventata attivista. Sono simboli, che vengono utilizzati per restituire un’immagine senza dover usare troppe parole. Eppure fanno capire tutto.
Ecco, la prossima volta che vorrai mettere decine di numeri astratti in una presentazione, invece di utilizzare le metafore o le immagini e la simbologia, ripensaci.
Il tempo e la postura
Una storia così importante, così potente, viene raccontata in soltanto 10 minuti. Non c’è un secondo sprecato, mentre noi a volte ci lamentiamo che quando ci danno così poco tempo non riusciamo a dire niente. Il problema non è il tempo, il problema è la gestione del tempo.
E poi la postura. Non si agita, non vada una parte all’altra, ma è ferma e sicura. Solo al minuto 3:33 fa un passetto laterale, ma avrebbe potuto non farlo.
E anche se le mani sono messe in un modo sconsigliato dai manuali, ovvero strette davanti a se, non ci danno per nulla fastidio, anzi, ci stanno benissimo. Nessun movimento del corpo distrae dalla forza di quello che dice.
Frasi chiave
Oltre alla gestione del tempo, alla forza del racconto, alle immagini, alla postura, mi è piaciuto moltissimo come vengono utilizzate alcune frasi chiave. Quella che ho preferito, e che mi risuona in testa da quando l’ho ascoltata, è stata questa:
And there were rare but searing chants of "slit-eye" and the occasional graffiti:
"Asian, go home." Go home to where?
(E si sentivano rari ma cocenti slogan sugli "occhi a mandorla", e ogni tanto dei graffiti che dicevano: "Asiatici, tornatevene a casa vostra". Ma quale casa?)
Quella frase “Go home to where?” disinnesca tutto il razzismo e la cattiveria delle parole scritte sui muri. Che è la stessa cosa che dovremmo pensare quando sentiamo illustri esponenti della politica, o anche qualcuno al bar che dice: “Tornatevene a casa vostra” oppure “Che se ne tornino a casa loro”. Ma quale casa?
Una frase sola, e disintegra tutto quello che viene detto su chi scappa da fame, miseria e guerra. Quale casa?
Insomma, un TED Talk da vedere assolutamente se vogliamo imparare qualcosa sul public speaking, e magari uscirne anche delle persone un po’ migliori.
La poesia (non) ci salverà
Domenica 2 Febbraio al Bloom di Mezzago (detto anche “Il Bloom di mezzago dove hanno suonato i Nirvana”) faremo una giornata per far sentire la nostra voce contro la guerra, ben consapevoli che la poesia non serve a nulla, ma a volte è tutto ciò che abbiamo.
Una serata patrocinata da Emergency che abbiamo organizzato con SLAM Factory, e che vedrà alternarsi dalle 15 alle 20:30 poesia, musica, banchetti, esposizioni e molto altro. Ingresso libero, ti aspettiamo!
Qualche consiglio che può sempre servire
Sto leggendo un libro di economia comportamentale. Lo so, detta così non è un granché, però davvero mi sta appassionando perché spiega molti dei nostri comportamenti quando scegliamo di comprare qualcosa. Si chiama Misbehaving e l’ho trovato in biblioteca mentre cercavo un altro libro. Un fortunato caso di serendipità.
(in questo momento mi sento molto );Sto ascoltando Ho conosciuto Kurt Cobain, un podcast che racconta di quando i Nirvana vennero a suonare in Italia. Inizia parlando di quando suonarono al Bloom, il locale dove saremo domenica 2 Febbraio anche noi. Posso dire che sono salito sullo stesso palco di Kurt Cobain, insomma.
Una serie di “How-to” del New York Times su come fare un sacco di cose, tipo come lavarsi i capelli oppure come decorare la tavola in maniera professionale à la Csaba Dalla Zorza (grazie a per la dritta).
Ancora pochi posti
Restano giusto 3 posti per il corso di public speaking del 15 Febbraio. Dai che facciamo soldout, se ti interessa trovi tutto in questa pagina.
Per capire come funziona il metodo Public Poetry Speaking ho fatto anche un reel, che per fortuna non ho montato io quindi è pure piacevole da vedere.
Una poesia breve per chi ha poco tempo
Il giorno ha gli occhi di un fanciullo. Chiara
la sera pare una ragazza altera.
Ma la notte ha il mio buio colore,
il colore di un cupo splendore.(Il giorno ha gli occhi di un fanciullo - Sandro Penna)
Per questa settimana è tutto, ci risentiamo giovedì prossimo. Puntuali, anche se “la vita di un puntuale è un Inferno di solitudini immeritate”, come dice Stefano Benni.
Tante care cose e abbi cura di te
La poesia breve mi è piaciuta particolarmente. Sarà che sono un amante delle allitterazioni.