In Calabria esiste ovviamente il verbo “lavorare”, ma viene tradotto in un altro modo: “faticare”. A volte anche “travagliare”. Si intuisce fin da subito che la pratica del lavoro, in Calabria, non è intesa in maniera poi così piacevole.
Qualche giorno fa in chat con dei miei amici qualcuno ha detto “Dopo i trent’anni l’idea di lavorare divertendosi penso debba essere messa da parte”. Boh, non so, non ne sono tanto sicuro.
Sembra quasi che se lavori senza mostrare segni di nervosismo, stress, tensione continua oppure senza arrivare a casa a pezzi tu non stia lavorando. Mai capito.
“Ma Ciccio, avevi detto che in questa quarta stagione della newsletter ti saresti concentrato maggiormente sul parlare in pubblico e invece cominci con una tiritera contro chi lavora troppo, cosa c’entra?”. Dammi tempo, ci arrivo.
Qualche giorno fa ho fatto un corso in un’azienda. Come compito ho chiesto di organizzare un discorso di 3 minuti in cui avrebbero dovuto vendere dei fenicotteri. Si trattava, diciamo così, di una situazione di laboratorio, e per mettere in pratica quello che abbiamo imparato non c’è niente di meglio che utilizzare un argomento completamente fittizio.
Chi partecipava ci ha messo un’energia, ha tirato fuori così tante di quelle idee che mi ha stupito. E allora mi è venuto da chiedermi: “Ma perché dobbiamo sempre annoiarci e puntare al risultato minimo? Perché un sacco di volte non ci mettiamo un minimo di entusiasmo in quello che facciamo per lavoro?”.
Perché questa energia che abbiamo, che circola, non riusciamo ad averla tutti i giorni?
ALERT: non sto dicendo “Fai della tua passione il tuo lavoro”, che è una delle più sesquipedali cazzate che abbia mai sentito nella mia vita. Sto dicendo, soprattutto a me stesso: “Invece di impegnarti al 200% in qualcosa che ti piace fare così così, perché non ti impegni al 200% in qualcosa che ti piace e che, quando la fai, ti porta pure risultati?”. Risultati migliori, maggiori soddisfazioni, grande gioia, trenini con Disco Samba in sottofondo e, guarda un po’, stai a vedere che aumenta pure il fatturato.
Penso sia legato a quel concetto lì, quello del lavoro come fatica, che nonostante tutti gli sforzi continua a essere presente. Se ti diverti, non stai lavorando. Se una cosa ti viene bene, vuol dire che è troppo facile e non vale la pena impegnarsi. Riusciremo a liberarcene, riuscirò a liberarmene? Boh, vai a capire.
Che poi mi viene in mente che le persone a cui ci ispiriamo sono quelle che amano ciò che fanno. Per dire, non si è mai visto un TED Talk del tipo: “Giorgio (nome di fantasia) oggi terrà uno speech su come ha lavorato per 40 anni con una mansione che non amava, incazzandosi ogni giorno e sfogando la propria rabbia su chi lavorava con lui e sulla famiglia. Un bell’applauso per George, il bilioso!”.
Il TED Talk della settimana
Se c’è una cosa che a me non piace per niente è la chiacchiera fine a se stessa. Discussioni che non portano da nessuna parte, o peggio ancora lunghi monologhi con risposte sconnesse.
Ora, sembra banale, ma ho trovato molto utile questo decalogo su come ascoltare meglio. Dieci regole semplici semplici ma che, chi lo sa, magari insegnano qualcosa.
Mi ha colpito molto la frase: “La maggior parte di noi non ascolta con l’intenzione di capire. Ascolta con l’intenzione di rispondere.” Quante volte ti è capitata questa situazione, se ci pensi un attimo?
E come sta, il poetry slam italiano?
In caso non lo sapessi, il poetry slam è una sfida tra poetɜ che salgono su un palco, hanno tre minuti di tempo e vengono giudicati da una giuria di 5 persone prese a caso tra il pubblico. C’è in tutto il mondo, e l’Italia ha vinto gli ultimi tre campionati mondiali. Per dire quanto siamo forti.
Come sta il poetry slam italiano? Da quello che vedo, una bellezza.
Da giovedì a domenica scorsi, a Rimini, ci sono state le finali dei campionati nazionali di poetry slam. Quattro giorni di poesie, gare, serate, chiacchiere, e un rinnovato senso di comunità che pervade tutto il movimento, da Bolzano a Pantelleria. Eravamo in tantɜ, ci siamo ritrovatɜ nella città di Fellini e dentro il cinema Fulgor (sì, quello di Amarcord).
Come abbiamo detto scherzandoci su, “abbiamo scalfito il patriarcato” perché finalmente ha vinto una donna (no, non voglio fare #ladonnaacaso) e abbiamo quindi una campionessa nazionale: Gloria Riggio!
Siculo-trentina, chi meglio di lei potrebbe rappresentare un movimento nazionale? Giovanissima e incredibilmente brava. Se ti va, puoi leggere alcune delle sue poesie qui.
Dentro il secchio dell’umido
un mazzo avvizzito in tre rose;
c’eravamo tanto detti di volerci bene:
si dicono molte cose.
(se vuoi saperne di più sul poetry slam, segui @lipsofficial e @poetryslamfactory su Instagram).
Una poesia breve per chi ha poco tempo
Tu chiedi, io rispondo dico di sì, di no, giustifico… Mi ascolti? Mi senti? Ci ripenso. Non so. (Costis Papazak)
Finisce qui la prima puntata della quarta stagione o, come dicono quelli bravi, l’Ep01xS04. Sai quante newsletter ho inviato fino a oggi? 128. Pensavo di meno!
Grazie per aver letto fin qua, ci risentiamo giovedì prossimo sempre alle 7:31 am. Ovviamente puoi leggerla anche dopo la newsletter, non devi svegliarti a quell’ora per averla fresca fresca, sia chiaro.
Tante care cose e abbi cura di te
Ciccio
PS: se sei qui per la prima volta e vuoi iscriverti, ecco il pratico pulsante magico.
“Nessuno ci toglierà i balli che abbiamo ballato”
Sono Ciccio Rigoli e mi occupo di cpublic speaking e poetry slam.
Faccio corsi molto divertenti sia dal vivo sia online, e anche consulenze singole.
Organizzo poetry slam e insieme a Paolo Agrati e Davide Passoni abbiamo un’agenzia che si chiama Slam Factory. La nostra trasmissione “Poetry Slam!” la trovi su Prime Video.
Ho scritto 5 libri e un pezzo che si intitola “Come hanno fo**uto i trenta/quarantenni” che ha fatto oltre un milione e mezzo di visualizzazioni quasi a mia insaputa.
Sono soprattutto su Facebook e Instagram. E anche su LinkedIn. Puoi seguirmi, se ti va.