Leggendo un articolo sui disastri e sulla reazione delle persone al pericolo ho scoperto che quando stiamo nei guai veniamo inondati di dopamina, l’ormone del piacere. Serve per produrre adrenalina, ma mi ha insegnato qualcosa sul perchè molta gente, me compreso, continua a salire sul palco anche se ha i brividi al solo pensiero. Perché ci piace, farci del male.
Ultima chiamata per il corso di Public Poetry Speaking del 4 Novembre a Milano e del 10 Novembre a Torino. Poi, basta.
Il corso è di public speaking e utilizza tecniche di poetry slam e di stand up poetry. Poi giuro che ho finito con i termini inglesi, ma non me ne vengono di migliori in italiano, abbiate pazienza.
Venerdì 27 parlerò durante i Digital Innovation Days a Milano, e terrò un workshop su come comunicare il nostro lavoro agli altri. Hai notato quanto molte volte facciamo fatica a definirci? Perché vorremmo dire tutto ma anche perché facciamo così tante cose diverse che non sappiamo da dove iniziare. Io invidio molto, ad esempio, chi fa il dentista perché se dici “Faccio il dentista” non è che devi andare a spiegare altro. Lo sappiamo tutti, come funziona un dentista.
Il workshop si intitola “The Grandmas’s pitch”, sottotitolo “Se riesci a spiegare il tuo lavoro a tua nonna, puoi spiegarlo a chiunque”. La nonna qui è vista come l’archetipo della persona che non è che puoi starci a girare attorno, devi farle semplici, le cose. Con tutto il rispetto per le nonne, ovviamente.
Lavorando sul discorso da fare mi è venuta in mente una similitudine, molto legata a quello che faccio: la differenza tra poetry slam e reading di poesie.
Si tratta pur sempre di leggere poesie, no? E allora come mai ai poetry slam continua ad aumentare la gente che viene a vederli, mentre se dici “Faccio un reading di poesie” spesso la gente scappa adducendo scuse puerili ma efficaci? Ecco, ci ho pensato e credo di aver capito.
Nei poetry slam il pubblico è parte integrante dello spettacolo, nei reading di poesie il pubblico è solo uno spiacevole incidente di percorso.
Ci piace ascoltare la nostra voce, dirci da soli quanto siamo stati bravi, e se la gente si annoia o rimane fredda basta dire: “Non era il pubblico adatto” oppure “Non sono facili da capire”. Eh, certo, facile così. Bisognerebbe ogni tanto dire: “Ma le poesie le stavo dicendo a qualcuno oppure me le stavo leggendo da solo?”.
L’onanismo del palco
Praticamente, cosa succede quando leggiamo oppure stiamo di fronte a un pubblico ma ce ne freghiamo del pubblico stesso? Che nessuno ci ascolta, oppure prova ad ascoltarci ma si annoia, giustamente, perché è come un invitato non richiesto.
E stare sul palco soltanto per dire delle cose senza preoccuparsi che chi sta di fronte le capisca significa una sola cosa: masturbazione. E la masturbazione, solitamente, è piacevole solo per chi la fa.
(E la chiudo qui con le metafore sessuali, per carità, che già mi sto vergognando a scriverle).
Sarà capitato anche a te di andare a uno spettacolo in cui chi stava sul palco voleva soltanto far vedere quanto ci sapeva fare, oppure di andare a un convegno e trovare relatori e relatrici con una preparazione quantomeno discutibile, quasi fossero capitati lì per caso. Ecco, questo significa sbattersene del pubblico, ed è brutto a vedersi e poco rispettoso.
Stare sul palco è un privilegio, chissà perché qualcuno lo vede come un diritto divino e pensa che sia importante solo starci, là sopra, non usare il palco o il microfono o comunque la propria voce per farci qualcosa, arricchire chi sta davanti, scambiare idee.
Sarà che siamo abituati a considerare il parlare in pubblico non come un’occasione ma solo un modo per farci vedere oppure un pericolo da cui scappare il prima possibile.
Se ci pensi è la stessa cosa che succede quando qualcuno ci deve spiegare il suo lavoro e invece di farci capire cosa fa nella vita si perde a spiegare dettagli, a raccontare questioni tecniche, a trovare parole inglesi a casaccio che farebbero scappare anche il più coriaceo degli ascoltatori. Spiegazioni che non spiegano e ti fanno solo venire voglia di dire: “Ma non potevi fare il dentista o l’idraulico, così capivo subito e non stavo a sorbirmi questa sequenza di parole senza senso?”.
Il TED Talk della settimana
Se sostituissero il tuo lavoro con un software, e dovessi scegliere tra andare a lavorare, sempre con lo stesso stipendio ma in maniera completamente inutile perché il tuo lavoro lo farebbe il computer, oppure stare a casa ricevendo comunque i soldi, cosa sceglieresti? Sembra facile da dire, staremmo a casa. E invece non è così ovvio.
Ci sono persone che sceglierebbero comunque di andare a lavorare. Così come c’è gente che sta in ufficio oltre il tempo consentito solo per far vedere che sta lavorando. O come il capo di una mia amica che ha detto che vuole morire in ufficio (il capo, non la mia amica) perché lavorare è la cosa che gli viene meglio.
Lo spirito dell’iperattività anche quando è inutile ci pervade, e bisogna farci i conti e chiedersi se è necessaria, tutta questa fatica. Per qualcuno, evidentemente, sì.
Ne parla il TED Talk della settimana che si chiede: “Lavorare duramente ti rende una persona migliore?”
(Tra l’altro mi chiedo sempre perché nelle serie tv o nelle trasmissioni traducano sempre “Working hard” con “Lavorare sodo”. Chi ha mai detto“Ho lavorato sodo”, nella vita vera?)
Sì, ma nessuno te l’aveva chiesto
Uno spazio di consigli, spero utili anche se non richiesti
In questi giorni sto leggendo, oltre all’autobiografia di Britney Spears, un libro che si intitola Il lato oscuro delle storie. Se è vero che l’uomo è un animale che racconta storie, allo stesso tempo le storie costruiscono il mondo ma possono distruggerlo. Sembra pazzesco? Beh, cosa sono le Teorie del complotto se non storie che creano un universo parallelo e spingono le persone a non credere alla realtà?
Se ti interessa quello che, in milanese moderno, si chiama storytelling, direi che è un buon libro da leggere.
Dello stesso autore c’è anche il libro L’istinto di narrare, che al contrario racconta di come le storie ci abbiano reso umani. Niente male neanche quello, devo dire.
Ma ne fai ancora serate?
Salvo domenica, da giovedì a lunedì ho una sequenza di serate sparse in giro che un po’ mi sto chiedendo “Ma chi me lo fa fare?”. Poi mi ricordo che fare le serate mi piace oltremodo, e allora ecco, chi me lo fa fare.
26 Ottobre: presento con Paolo Agrati il Grande poetry slam a Colonne28, Parma;
27 Ottobre: sempre con Paolo Agrati, però all’Arci Bellezza di Milano c’è il Biutiful poetry slam
28 Ottobre: partecipo alla serata “La Descarga” al Circolo Alice nella città di Castelleone (Crema).
PS: Sono stato definito “poliedrico cabarettista” dal giornale “La Provincia di Cremona”. Non mi era mai capitato
30 Ottobre: seconda serata del Barbie Poetry Slam a Ostello Bello Milano Duomo. Sarò nel ruolo di Barbie Dj insieme a Francesca Pels nel ruolo di Barbie MC.
Una poesia breve per chi ha poco tempo
Sto in silenzio la maggior parte del giorno,
la casa mi scricchiola addosso.
Di notte osservo il brutto tempo.
Gli scherzi della mente,
io e te abbracciati
e tu parli.
Non dirmi che ancora, al posto tuo,
arriverà il mattino.(Simona Cerri Spinelli)
Anche per questa settimana è tutto. Grazie per aver letto fin qui.
Se hai commenti e vuoi condividere tutto o parte di questa newsletter in giro, “pensati libera” (cit.)
Tante care cose e abbi cura di te
Ciccio
PS: Questa newsletter è stata scritta ascoltando questo disco. Che è una bomba, se ti piace il tango.
“Nessuno ci toglierà i balli che abbiamo ballato”
(proverbio argentino)
Sono Ciccio Rigoli e mi occupo di public speaking e poetry slam.
Faccio corsi per parlare in pubblico sia dal vivo sia online, e anche consulenze singole.
Organizzo poetry slam e insieme a Paolo Agrati e Davide Passoni abbiamo un’agenzia che si chiama Slam Factory. La nostra trasmissione “Poetry Slam!” la trovi su Prime Video.
Ho scritto 5 libri e un pezzo che si intitola “Come hanno fo**uto i trenta/quarantenni” che ha fatto oltre un milione e mezzo di visualizzazioni quasi a mia insaputa.
Sono soprattutto su Facebook e Instagram. E anche su LinkedIn. Puoi seguirmi, se ti va.
Io a quello della TED talk direi, no, secondo me parla più di quanto hai internalizzato il capitalismo, amico mio, questa domanda.
Poi tornerei a lavorare pure io perché non sono abbastanza ricca per non farlo, però l'importante è essere coscienti.
E continuare saper oziare bene, regalandosi spazi gloriosamente improduttivi, dove e quando possibile