Una cosa che non avrei mai pensato succedesse durante un percorso di psicoterapia è di parlare di lavoro. Mi aspettavo molto di più questioni familiari, traumi, amore e odio, “Ma si ricorda com’era da bambino?”, “Ha mai visto i suoi genitori nudi?” e altre cose di questo genere. Invece spesso con la mia terapeuta mi trovo a parlare di lavoro: trovare i clienti, cambiare lavoro, ogni tanto sembra più una sessione di auto aiuto tra freelance che non una seduta psicoterapeutica.
Devo però dire che queste discussioni mi hanno fatto arrivare a un punto, e visto che né a me né alla terapeuta piacciono gli argomenti di moda, abbiamo deciso di andare ben oltre l’abusata “sindrome dell’impostore” e arrivare direttamente alla “mentalità da stagista”.
Se con la sindrome dell’impostore pensi di non essere all’altezza del compito e che prima o poi se ne accorgeranno e farai una pessima figura, con la mentalità da stagista non solo pensi di non essere all’altezza del tuo compito, ma addirittura pensi che tutta l’esperienza che hai fatto non serva a niente e che ogni volta devi ricominciare da capo. Nuovo cliente? Si ricomincia. Nuovo lavoro in azienda? Si ricomincia da capo. Nuova consulenza? Come se non avessi fatto mai niente.
E allora ecco i preventivi bassi, le modifiche continue fatte gratis per compiacere il committente, come se tutto quello che hai visto, studiato e affrontato prima non valesse niente.
Se lavori, è solo perché ti stiamo facendo un favore, perché al contrario della sindrome dell’impostore stavolta noi lo sappiamo benissimo che tu non vali niente e devi imparare tutto.
Che poi in realtà quasi sempre è solo una nostra costruzione mentale.
Vale soprattutto per i lavori (scusa la parola) creativi. Mio cugggino lo faceva meglio, tanto non mi serve una persona che gestisca i social, le foto le facciamo direttamente noi con il telefono, e così via.
E poi c’è anche “visto che ci metti 5 minuti, mi fai questa modifica al volo entro stasera? Ah, la devo pagare? Ma dai, non ci metti niente!”. Pure la colpevolizzazione.
Il problema non è tanto che le altre persone pensino sia così. A volte siamo proprio noi che abbiamo introiettato questa mentalità e allora facciamo la modifica senza sovrapprezzo, e ci sentiamo pure un po’ in errore quando sollecitiamo le fatture scadute.
Tutte mentalità da stagista, da chi è appena entrato nel mondo del lavoro e non uscirà mai da quella condizione di precariato e di economia di sussistenza nella quale si trova.
E invece sarebbe ora di farsi valere, dire “Guarda che io per stare qua a farti le modifiche ho dovuto pagarmi un master e passare non sai quante nottate al computer prima di adesso”, oppure reclamare che sabato e domenica non si lavora se non è proprio oggettivamente necessario, e che tanto non muore nessuno se la modifica alla grafica (che peraltro avevi già approvato) non la facciamo entro stasera.
La stessa mentalità spesso ce l’abbiamo pure quando dobbiamo parlare nelle riunioni o nelle conferenze. Teniamo un profilo basso sperando di sfangarla il prima possibile, e invece dovremmo ricordarci che se ci hanno chiamato a parlare non è per farci un dispetto o perché vogliono soltanto vederci fallire fragorosamente. Se ci hanno chiamato è perché pensano che siamo la persona giusta al posto giusto.
E anche se stessero pensando che non valiamo niente, puntiamo più in alto. Altrimenti restando sempre col profilo basso si rimane stagista a vita, e sappiamo bene che c’è sempre qualche stagista da qualche altra parte che non vede l’ora di rimpiazzarti.
Parlare a modo
Ammettiamolo: l’Intelligenza Artificiale un po’ ci attrae un po’ ci spaventa. Un po’ tanto, ci spaventa.
Come fare a capirne qualcosa di più? Ecco qua il tuo Ciccio Rigoli del vicinato che ti suggerisce un bel TED Talk di quelli potenti tenuto da uno che sull’intelligenza artificiale ci lavora da così tanto che neanche lui ci credeva a dove sarebbero arrivati in così poco tempo.
Lui è Mustafa Suleyman, CEO di Microsoft AI, quindi qualcosa dovrebbe capirne. Non so se ti tranquillizzerà molto, ma di sicuro è una prospettiva diversa che non fa mai male.
(certo, qualcuno dovrebbe fargli un corso di public speaking e ricordargli che non si mettono MAI le mani in tasca ma vabbé, è un ingegnere di Microsoft, cosa ci vuoi fare)
Fateci caso
Substack ha anche un piano a pagamento (io ancora non l’ho attivato ma dimmi, dovrei? Lo faresti?), e in una newsletter che seguo ho trovato la frase meglio scritta per invitare a passare a un piano a pagamento:
Thank you for being here. If you’re in the happy position of being able to afford to, please consider becoming a paid subscriber. That would be hugely appreciated.
“Happy position”, “being able to afford”. Non “Sostienimi, dai, che ti costa?”. L’ho trovato molto delicato. Peccato che io ora non sia able to afford to sennò l’avrei fatto volentieri già solo per questa scritta.
E dove ti troviamo questo mese?
Visto che sta arrivando Marzo (You can never hold back spring, diceva il buon Tom Waits) ho pensato di raggruppare tutti gli spettacoli, i poetry slam e solo dio sa cos’altro succederà in questo mese pazzo in un’agile infografica. Che su Instagram ho diviso in due ma qua eccola, in tutto il suo riempimento massimo dello spazio.
(tra l’altro debutto a Novara dopo solo due anni che mi ci sono trasferito, ho i miei tempi, come anche questa città che mi ha accolto ha i suoi)
Una poesia breve per chi ha poco tempo
Poveri noi sotto il grande
bombardamento,
ancora centimetri e centimetri di casa
e l’orto che è fatto di ferro.
Adesso ci serve l’istinto
speciale di tutte le bestie
con un po’ di stordimento del cervello.
Pregare e sopportare e quando
il silenzio ci sarà delle battaglie
che tornino qui le galline.(Brusio - Tiziano Rossi)
Bene, pure per questa settimana ci siamo. Grazie per aver letto fino a qui.
Teniamoci stretti che c’è vento forte
La cassettina della settimana
Cercavo tutt’altro e mi è venuta fuori questa playlist che contiene dei pezzoni. L’autobiografia e il personaggio saranno discutibili, ma almeno le canzoni sono belle.
Tu pensa se poi la sindrome da stagista te le condiscono con un po' di mansplaining che ci sta sempre bene sulle donne laureate stem...
E come si chiama invece quella sindrome in cui si pensa di essere bravi e che se non andiamo avanti è perché il mondo non riconosce il nostro genio però nel frattempo tutti gli altri vanno avanti e tu sei fermo al palo e c'è quella vocina nella testa che ti dice "forse non sei bravo come credi" e tu le dici "zitta, non è vero, sono gli altri che non mi comprendono?". No, perché è di quella che soffro io.