Muoviti così, fai in questo modo, dici questa roba, ed ecco qua i 10 consigli per, segui queste regole e farai successo, e che palle. Sempre le stesse cose, sempre.
Hai notato che sotto il mio profilo non c’è scritto “TEDx Speaker”? Ecco, semplicemente perché non ho mai fatto lo speaker a un TED talk.
(per chi non lo sapesse, i TED talk sono delle conferenze tematiche con diversi partecipanti. Sono stati inventati in America e hanno innovato il modo di pensare alle conferenze usando un nuovo format da 15 minuti circa per ogni intervento)
Ma perché non ho mai fatto lo speaker? Da una parte perché non mi hanno mai invitato (sì, lo so, la volpe e l’uva, ecc. ecc.). Dall’altra perché avevo pensato di candidarmi, poi mi sono chiesto: “Ma a cosa mi servirebbe?”. Ormai il settore è così inflazionato che vabbé, fare lo speaker a un TED è diventato una specie di prassi.
Solo la prossima settimana in Italia ce ne sono 6. A Novembre ce ne saranno 35. A Roma, a Cesena, a Pisa, a Lecce, a Biella, a Verbania, a Forlimpopoli, a Formigine, a Pordenone, ad Ascoli Piceno, a Novara, a Ostuni. E ne mancano diversi.
Quando un format si espande così tanto e arriva ad avere così tanto successo solitamente ci sono una notizia buona e una cattiva:
La notizia buona: il format piace e prende sempre più piede, evidentemente c’è richiesta e funziona;
La notizia cattiva: sta diventando sempre più ripetitivo, fine a se stesso e rischia la saturazione. E ha vita breve, temo.
Dice: E da dove viene questa previsione così fosca? Facile: dalla storia del cabaret in Italia. Cerco di spiegarmi.
(quelli fighi veramente avrebbero chiamato in causa “la curva di Rogers di adozione dell’innovazione”, ovvero quella che spiega come ci siano prima gli innovatori, poi la larga maggioranza e poi il declino, ma a me piace di più spiegarlo con la storia del cabaret. Che ci vuoi fare, sono fatto così).
Come è morto il cabaret italiano, e cosa c’entra coi TED Talk
Prima c’è stato il Derby, coi Padri Nobili: Cochi e Renato, Enzo Jannacci, Teo Teocoli, Diego Abatantuono e altra gente che ha fatto la Storia della comicità italiana.
Poi è arrivato lo Zelig (il locale), e ha cresciuto una generazione di Eroi: Aldo Giovanni e Giacomo, Claudio Bisio, Lella Costa, Paolo Rossi, Maurizio Milani, gente che ancora oggi viene subito in mente quando dici “Zelig” anche se non si esibisce lì da decenni.
Poi c’è stata la televisione, lo Zelig televisivo. E lì ancora un’infornata di nomi storici: Ficarra e Picone, Ale e Franz, Raul Cremona, il Mago Forest. Il successo, l’esplosione, le serate e gli spettacoli ovunque e a caro prezzo. Chi ha fatto Zelig in quegli anni ha visto aumentare i cachet in maniera stratosferica. Erano gli anni della gloria totale.
Poi il format ha cominciato a ripetersi, e hanno cominciato a venire fuori i cliché: i tormentoni, la comicità facile che puntava solo a far ridere di pancia (in molti casi), e contemporaneamente il proliferare di laboratori di cabaret, trasmissioni di provincia, programmi comici di scarso successo ma che puntavano sul fenomeno del momento. Da lì, il declino.
Io, indovina quando sono entrato in quel mondo? Esatto, nel momento del declino. Facevo i laboratori Zelig (serate con 10/12 comici che provavano i pezzi di fronte a un pubblico pagante) sperando di entrare nella trasmissione televisiva, non venivo pagato perché c’era sovrabbondanza di comici e figurati se c’erano soldi da dare agli esordienti. Anche se le serate erano a pagamento per il pubblico, i comici non ricevevano niente.
Al tempo stesso, ecco che la sovrabbondanza ha portato a livellare verso il basso la qualità, e gli autori ci consigliavano sempre le stesse cose: serve il tormentone così il pubblico si ricorda di te, servono più battute, servono gli sketch serializzabili con dei personaggi ben riconoscibili e talvolta grotteschi.
Finché a un certo punto il pubblico si è stufato.
Quando il gioco diventa sempre lo stesso è normale che finisca: non c’è più novità, non c’è nessuna sorpresa, “non cè amicizia, non c’è convenienza, non c’è cortesia e arrivando non ho visto neanche l’ampio parcheggio all’ingresso”.
Spero tu riconosca la citazione.*
I comici oggi hanno provato a riciclarsi come stand up comedians (con alterne fortune) oppure vanno avanti tristemente a sognare la gloria. Altri hanno abbandonato perché il loro momento ormai era finito.
Insomma, ecco cosa succede quando un format diventa troppo popolare: annoia.
E quindi veniamo al TED Talk.
Perché i TED Talk hanno i giorni contati
Nati nel 1984 (lo stesso anno del poetry slam, tra l’altro) nella Silicon Valley (e figurati se potevano nascere da un’altra parte), i TED hanno rivoluzionato il modo di pensare alle conferenze. Non più noiose e lunghe disquisizioni con delle slide fatte male, ma interventi interessanti, storie belle da ascoltare e da cui trarre insegnamento. Non per niente il motto è “Ideas worth spreading”, idee che vale la pena diffondere.
Dal TED Talk annuale sono nati i TEDx, eventi organizzati indipendentemente dalla casa madre. Chi vuole può organizzarne uno, acquista i diritti di utilizzo del marchio e si organizza il proprio evento seguendo le regole del TED Talk. Un successone. Migliaia di eventi, decine di migliaia di speaker, diffusione mondiale e nascita di format collaterali come ad esempio TEDx Youth, dedicato ai ragazzi.
Il primo TEDx in Italia è arrivato nel 2009. Giusto per farti pesare il tempo che passa, sono 14 anni fa. Sembra ieri, eh?
Oggi, come dicevo all’inizio, ci sono TEdx in tutta Italia. Bello, vuol dire che funziona, ma cosa è successo?
Succede che il format va benissimo ma sta diventando ripetitivo (ti ricorda qualcosa?). Ormai trovare uno speech davvero interessante da ascoltare è difficile, e anche se magari l’argomento ha valore viene sommerso da molti altri interventi che non aggiungono nulla o sono semplici lezioncine. E a nessuno piacciono le lezioncine
In più, la necessità di avere speaker ovunque per coprire così tanti eventi e così tante città ha portato a svilire, sempre secondo me, la dicitura “TEDx speaker”. Si vede così spesso che vabbé, chi ci fa caso ormai?
E visto quante conferenze ci sono in giro, a breve tutti quanti avranno il loro quarto d’ora di TEDx, per parafrasare Andy Warhol. Così lo possono mettere su LinkedIn, aggiungerlo al curriculum, e bella lì. Una corona da TEDx speaker non si nega a nessuno.
Ho messo molto raramente dei talk italiani qui nella newsletter. Non lo faccio per esterofilia, anzi, ma semplicemente perché ne trovo raramente di valore, e dovrei vederne tantissimi per trovarne qualcuno buono. Se poi ci aggiungiamo la scarsissima propensione del popolo italiano a parlare in pubblico, le esibizioni mediocri sono davvero troppe. Quanto potremo andare ancora avanti così prima che la gente si stufi definitivamente?
Questo è il semplice motivo per cui penso che i TED Talk abbiano i giorni contati: la ripetitività, l’eccesso, la bulimia di eventi ed esibizioni, l’abbassamento del livello medio. Non so tu, ma io ne ho abbastanza.
Ovviamente continuerò a mettere il TED Talk della settimana (tranne oggi come protesta silenziosa e inutile. Come gli ultimi scioperi dei mezzi a Milano) perché credo sia sempre importante vedere speaker in azione per imparare qualcosa, ma se noti sono spesso di diversi anni fa. Non è nostalgia, semplicemente è più facile trovare contenuti di qualità anche se datati.
Oggi l’ho fatta particolarmente lunga, ma è un argomento che mi stava a cuore e a cui pensavo da un po’. Facciamo così: se hai delle osservazioni, mandamele o scrivile nei commenti così ci ragiono su una settimana e la prossima volta approfondisco.
E, sgancio qui la bomba, credo che anche il poetry slam rischi di fare la stessa fine. Ma ne riparliamo.
*la citazione è di Tapparella (Elio e le storie tese).
Un corso per imparare a fare i TED Talk (scherzo, ma non troppo)
Dicevo sopra che il popolo italiano ha molta poca dimestichezza con il public speaking. Ecco, è giunta l’ora di rimediare!
Il 4 Novembre a Milano e il 10 Novembre a Torino terrò due corsi di public speaking. 8 ore a Milano e 4 a Torino, ma costeranno entrambi 50 euro.
Per quello di Milano, però, soltanto se ti sarà piaciuto particolarmente pagherai anche le restanti 150 euro scegliendo le tue parti preferite. Praticamente lo vendo a tranci come il pescespada.
Trovi la spiegazione dettagliata nella pagina del corso.
Per entrambi i corsi, puoi iscriverti compilando questo form.
PS: sì, il corso è valido anche se ti hanno invitatə a parlare a un TED Talk.
Ma ne fai ancora poetry slam?
Se ti è venuta voglia di venire a vedere un poetry slam, oppure se ti chiedi “Ma quando sarà il prossimo poetry slam?”, ecco alcune occasioni per venire a vedere la poesia fatta bene:
18 Ottobre: Presento con Francesca Pels il Barbie poetry slam a Ostello bello Milano Duomo;
26 Ottobre: Presento con Paolo Agrati il Grande poetry slam a Colonne28, Parma;
27 Ottobre: sempre con Paolo Agrati, però all’Arci Bellezza di Milano c’è il Biutiful poetry slam
Se ti interessano altri eventi di slam poetry segui su Instagram @poetryslamfactory oppure @lipsofficial.
Una poesia breve per chi ha poco tempo
quella che a te
sembra ditata,
è incrinatura.
Il vetro del bicchiere
andato in pezzi e
rincollato
che poi
ti segna il labbro
ad ogni bere.(In cucina - Elisa Biagini)
Oggi newsletter alquanto impegnativa, ma spero ti sia piaciuta. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi, visto anche che probabilmente ci tornerò la prossima settimana.
Se vorrai girarla ad altre persone o condividerla sui social, sarà per me un grande onore. E un grande aiuto.
Tante care cose e abbi cura di te
Ciccio
“Nessuno ci toglierà i balli che abbiamo ballato”
(proverbio argentino)
Sono Ciccio Rigoli e mi occupo di public speaking e poetry slam.
Faccio corsi per parlare in pubblico sia dal vivo sia online, e anche consulenze singole.
Organizzo poetry slam e insieme a Paolo Agrati e Davide Passoni abbiamo un’agenzia che si chiama Slam Factory. La nostra trasmissione “Poetry Slam!” la trovi su Prime Video.
Ho scritto 5 libri e un pezzo che si intitola “Come hanno fo**uto i trenta/quarantenni” che ha fatto oltre un milione e mezzo di visualizzazioni quasi a mia insaputa.
Sono soprattutto su Facebook e Instagram. E anche su LinkedIn. Puoi seguirmi, se ti va.
Da TedXspeaker ti dirò che non mi è mai passato manco per la testa (manco per la ciolla, direbbe mia madre) di scriverlo nella bio perché mi sembra, a prescindere dal lustro che possa portare, davvero “poca cosa” a livello professionale.
Sono totalmente d’accordo con te sulla povertà della stragrande maggioranza dei talk: in Italia c’è scarsa cultura del public speaking, ma anche la scrittura è piuttosto mediocre (Ti racconterò in privato un aneddoto perché qua non si può scrivere, è una storia che mi pattina sul filo della diffamazione come direbbe Zampetti)
Ti lovvo
Stavo discutendo della stessa cosa con un paio di amici scrittori a inizio mese.
Noi ci siamo soffermati sul fatto che trovare speech che valessero qualcosa e non fossero solo rimasticature era diventato quasi impossibile però la curva del cabaret di Ciccio Rigoli diventa da oggi il mio modo di rappresentare la società.
:-)