Ciao, sono Ciccio Rigoli e questa è Public Poetry Speaking, la newsletter settimanale che parla di public speaking, business writing, poetry slam e questa volta parla di quando ho fatto un corso che è andato bene e mi ha lasciato qualcosa, come dicono a X Factor.
Lo so, ho menato abbastanza il torrone con questa storia del corso di public speaking. L’ho fatto sabato, e mi sembra sia andato molto bene. Sono contento? Sì, sono molto contento.
Quello che mi piace dell’insegnare ad altre persone è che imparo un sacco di cose anche io. Capirai che banalità, potresti dire, ma a volte è nella banalità che si nasconde la meraviglia.
Ci sono alcune cose che ho imparato nell’ultimo corso, ascoltando chi ha partecipato, che magari potrebbero servire anche a te. O almeno lo spero.
Era il primo corso dal vivo dopo 4 anni, e non era scontato andasse tutto bene.
Non puoi controllare tutto
Ho ripassato ogni slide, calcolato tutti i tempi, comprato anche i mandarini per far sentirele persone a proprio agio. Nonostante questo, come in ogni cosa ci sono stati degli intoppi, ad esempio il ristorante cinese che in pausa pranzo ci ha servito in due ore invece che in una come avevo calcolato, obbligandomi a stringere i tempi della seconda parte.
Morale della favola, o meglio, morale dei ravioli: meglio darsi del tempo in più e non essere sempre sicuri di avere a disposizione tutto il tempo possibile. Gli imprevisti succedono, e a volte sono difficili da digerire. Come gli spaghetti di soia, peraltro.
Chissà cosa si aspettavano
Io ho un grandissimo problema: ho fatto il comico per anni, e ancora adesso ho quella necessità di avere un feedback continuo dal pubblico, di farlo ridere. Solo che non sempre funziona così, soprattutto se ti ritrovi a fare un corso di 8 ore. A volte arriva una battuta, ma non ci possono essere in continuazione e ci sono dei grandi momenti di silenzio.
Devo però dire che in questi anni ho affinato le capacità di comprensione di chi mi sta davanti, e capisco se c’è attenzione anche se non sento le risate. Diventa qualcosa di più sottile, ma più soddisfacente.
Resta però fondamentale “ascoltare” chi abbiamo di fronte. Altrimenti è un monologo e, ammettiamolo, quante volte abbiamo visto e ascoltato dei monologhi durante i convegni, le conferenze o le riunioni? E quanto è stato noioso?
Bisognerebbe insegnarlo dalle elementari, ad ascoltare il pubblico.
Perdonarsi
Ci sono state delle volte in cui ho pensato di star sbagliando tutto, di non aver calcolato bene i tempi, di star deludendo chi aveva pagato per essere al corso. E poi non era così.
Si chiama sindrome dell’impostore se non erro, e ogni tanto dovrei anche superarla. Però forse è anche una parte corretta del non prendersi troppo sul serio, del non esagerare nel sentirsi migliori. Probabilmente si ripresenterà, ma intanto devo dire che sono contento di non essermi fatto prendere dall’eccessiva ansia.
Soprattutto, non vedo l’ora di fare un altro corso.
Il TED Talk della settimana
Quando parlo di public speaking dico spesso che bisogna trovare dei collegamenti particolari, perché son quelli che vengono ricordati dal pubblico o, come ho ripetuto almeno 15 volte durante il corso, dall’uditorio. Vai a capire perché ho detto così tante volte una parola desueta come “uditorio”.
Comunque, dicevo: quando creiamo dei collegamenti particolari il nostro cervello si attiva e li ricorda più facilmente. Ad esempio se prendiamo un affresco de Rinascimento e lo mettiamo in collegamento con la presidenza di Donald Trump. Sembra strano, no? Ecco, c’è chi lo ha fatto.
Nel talk di Anthony D. Romero, capo dell’American Civil Liberties Union (ACLU), un affresco di Ambrogio Lorenzetti diventa una metafora degli errori della presidenza Trumo. Funziona, fidati.
Consigli di lettura non richiesti
In questo periodo sto leggendo Il calamaro gigante di Fabio Genovesi. Parla di storie, di come vengono create, di come a volte chi crea storie venga preso in giro dalle altre persone ma magari alla fine ha ragione.
Ci sono due parti che mi hanno molto colpito: il capitolo che si intitola Mai dire ormai, in cui si parla di come a volte pensiamo ormai non sia più possibile imparare qualcosa di nuovo, e la storia del più grande raccontatore di balle mai esistito, ovvero Luciano Rossi di Pontedera. Diceva di essere stato campione nazionale dei medio-massimi di boxe e aveva scritto una cartolina alla fidanzata con una delle più belle e corte poesie mai scritte, ovvero:
Maria,
vado con le altre,
ma penso a te.
Un capolavoro di sintesi, dramma e scioglimento del conflitto, effettivamente. Io ci sono rimasto per sua perfezione.
Una poesia corta per chi ha poco tempo
Come la spia rossa che
si accende sul cruscotto
e segnala al conducente,
che la benzina è alla fine,
così, anche il sentimento
che nutrivo per te
è ormai in riserva.(Semiotica - Valentino Zeichen)
Anche per questa settimana è tutto, cosa ci riserverà il futuro? Boh, che ne so, lo chiedi a me? Non ne ho idea, davvero.
Tante care cose e abbi cura di te
Ciccio
PS: vuoi organizzare un corso di public speaking ma non sei a Milano? Chiedimi come! Sentiamoci e magari organizziamo anche in altre città, mi piacerebbe andare in tour.
La biografia del titolare
Sono Ciccio Rigoli e mi occupo di public speaking, business writing e poetry slam.
Collaboro con alcune aziende per elaborare strategie di comunicazione e scrivere testi che funzionano, piacevoli da leggere.
Faccio corsi molto divertenti sia dal vivo (quando possibile) sia online, e anche consulenze singole.
Organizzo poetry slam e insieme a Paolo Agrati e Davide Passoni abbiamo un’agenzia che si chiama Slam Factory. La nostra trasmissione “Poetry Slam!” la trovi su Prime Video, anche se nella descrizione mi chiamano “Ciccio Regoli”, vai a capire perché.
Ho scritto 5 libri, l’ultimo è un manuale sul poetry slam.
Ho scritto un pezzo che si intitola “Come hanno fo**uto i trenta/quarantenni” che ha fatto oltre un milione di visualizzazioni a mia insaputa.
Sono soprattutto su Facebook e Instagram. E anche su LinkedIn. Puoi seguirmi, se ti va.